Archivi giornalieri: 20 Maggio 2024

Società senza anziani – di Rita Gambescia


Società senza anziani

(ovvero sull’eternità) 

di Rita Gambescia

I vestiti per bambini non c’erano più. Erano stati sostituiti, in versione miniaturizzata, da abbigliamenti simili a quelli degli adulti, preferibilmente sportivi. In parallelo il mercato fu invaso da tante, ma tante scarpe, la maggior parte utili ai corridori, sicché anche il più pigro degli uomini lo si poteva sospettare un runner. 

E’ accaduto che così, anche attraverso l’abbigliamento, le generazioni si sono incontrate allo stesso crocicchio; le distanze si sono accorciate sempre di più anche contro ogni buon senso: bambini con lo smartphone in mano da poco usciti dalla culla. 

Minorenni resi precocemente adulti e adulti ancora incamminati verso la maggiore età: un fenomeno – quest’ultimo – forse attribuibile al fatto che la generazione nata a cavallo degli anni ottanta e novanta ha spesso avuto padri e madri talvolta distratti, soggetti a molti cambiamenti e in corsa per l’affermazione personale o anche solo per la sopravvivenza. E i loro ragazzi fanno ancora un po’ fatica a mettere a fuoco la propria identità. Inoltre sono spesso privati di una vita professionale soddisfacente che li faccia sentire all’altezza e dunque maturi, penalizzati come sono da lavori precari e inferiori rispetto a capacità e competenze.  

Ma non sono solo i giovani adulti a vivere in uno stato di sospensione temporale. Accade infatti – bel paradosso – che nel Paese che invecchia più velocemente che altrove ci ritroviamo senza anziani, molti dei quali non riescono più ad assegnare un valore alle loro rughe tesi come sono verso il mito dell’eterna giovinezza suadentemente suggerito da mille sirene, e tesi anche a scongiurare l’inevitabile fine facendo il pieno di vitamine, proteine, esercizi in palestra e interventi miracolosi dagli effetti spesso patetici. Nemmeno la morte è stata risparmiata, con i volti degli estinti abbelliti. E nemmeno il post-mortem: fotografie ritoccate per rendere gli scomparsi più belli di quanto fossero in vita: la morte elusa, mascherata, ridotta a rappresentazione, mentre la memoria perenne dell’estinto è affidata all’ultima evoluzione della cosiddetta death tech, la tecnologia della morte che oggi permette – grazie all’intelligenza artificiale – di avere un clone digitale del defunto con cui interagire. Le conseguenze sul piano psicologico del trattenere chi non c’è più presso di noi senza filtri e misure di protezione sono ancora da verificare. Sul piano psicologico, e anche su quello esistenziale. Tale invenzione – peraltro lucrosa dal momento che si parla di un giro d’affari di qualche centinaio di miliardi – appare come altro tentativo di allontanare l’idea della morte quale evento definitivo. Certo, intrattenersi con un sembiante in formato digitale, quasi fosse reale, non è cosa nuova e continua a destare perplessità nelle coscienze più vigili poiché produce una inquietante sovrapposizione fra il virtuale e il reale. Ma interagire con un fantasma è una circostanza che può confondere e scompaginare nel profondo le categorie mentali che abbiamo fatto nostre. Un vero azzardo. 

 Un’antica sapienza sapeva sì tenere in vita la memoria del defunto ma seguendo regole prestabilite, facendo della morte un evento coinvolgente l’intera comunità e assegnando a delle “professioniste” il ruolo di intermediarie fra i due mondi (la declinazione al femminile è qui d’obbligo). 

 Chi scrive ha ancora memoria delle anziane dei paesi abruzzesi di cui il nero era il colore perpetuo. Qualcuna s’incontra ancora. Donne che si alzano presto, soprattutto di domenica, per portare fiori freschi sulle tombe. Lanciano occhiate investigative a chi è stato colpito di recente e se ne va smarrito o impacciato alla ricerca di un vaso, di un attrezzo di giardinaggio. Per loro è stato il compito di una vita. Sono le ultime guardiane della soglia. Hanno dimestichezza con i sogni, i simboli e i riti. Con disinvoltura lasciano l’uncinetto per il rosario. Ricompongono la frattura fra i due mondi, passano dal visibile all’invisibile. E danno tranquillità ai vivi, alleggeriti dal peso di ricordare, pregare e rendere onore.  

Ma torniamo ai tempi attuali. L’ostracismo nei confronti della vecchiaia e del suo inevitabile epilogo, si accompagna al desiderio di un’eternità che solo la giovinezza può incarnare. Una giovinezza immaginata perenne. L’industria della moda, rapida nel fiutare che cosa si muove nell’aria, fa sfilare sulle passerelle pallidi efebi, figurine perlopiù così sottili ed evanescenti da sembrare appartenere ad un mondo di fate e di elfi, sottratti per sempre all’insulto del tempo. E’ uno spazio magico in cui va in scena una bellezza disincarnata che si sposa con il gender fluid. Abolite le categorie sessuali, la moda crea un luogo neutro ed etereo in cui piccole divinità imbronciate si riflettono l’un l’altra come in uno specchio. Ad interrompere la monotona teoria di queste figurine, maschi con barba e in doppiopetto o donne iperfemminili: quanto necessario per accaparrarsi ulteriori fette di mercato. 

Quest’ispirarsi della moda agli orientamenti sociali assecondando gusti e comportamenti, dà vita ad una circolarità rispetto alla quale è difficile capire chi sta condizionando chi.

 La pubblicità poi non è da meno nel cogliere tendenze e rafforzarle. Grande attenzione è riservata agli anziani, fra modelli virtuosi di baldanzose nonne ultrasettantenni e integratori che promettono nuova vita ai pensionati. Che cosa vuoi che siano sessantasette anni? 

Va da sé che quest’ansia di stare al passo con i tempi e di ottemperare agli obblighi imposti dal pensiero corrente produce nuove insicurezze: le ideologie evolvono rapidamente e i cambiamenti scompaginano ogni nuovo assetto sociale e anche mentale. Si vive in uno stato di incertezza che produce, anche nel rapporto genitori-figli, sentimenti di inadeguatezza mascherati da disinvolti atteggiamenti di condivisione. Ma la condivisione vera è un’altra cosa: è essere partecipi del mondo infantile senza perdere l’autorevolezza e la dignità dell’adulto. Ma perché possa avvenire questo incontro genuino fra le generazioni occorrerebbe che l’adulto apprezzasse se stesso e ciò che può dare. Inutile appellarsi al principio di autorità se non c’è un sentimento autentico di considerazione verso la propria persona e verso la propria vita. I giovani, con la loro sensibilità, sono in grado di capire se la pretesa di autorità ha un fondamento o no; se l’adulto che hanno davanti è capace di prenderli sul serio perché prende sul serio anche se stesso; se la mano che stringe la sua è una mano salda oltre che solidale. 

Laura Chiarina

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