Tonita Di Nisio ha scritto un saggio sull’ultima opera di poesia di Marilia Bonincontro, “Sul ciglio dell’ombra” (Edizioni Noubs), con prefazione di Adriano Marchetti.
TONITA DI NISIO
“Sul ciglio dell’ombra” di Marilia Bonincontro
Aprire questo libro e poterlo guardare, sfogliare e infine leggere è partecipare di un grande privilegio: l’autrice, che tutti conosciamo come schiva e riservata, rigorosa al punto da apparire severa o distante, ci offre la sua “confidenza”, ovvero, nel senso etimologico della parola, mostra di avere fides-fiducia e speranza nei suoi lettori. Niente a che vedere con la facilità con cui oggigiorno personaggi più o meno pubblici raccontano vicissitudini personali al limite dello scandalo. Di quale confidenza si tratta? Di quale disponibilità generosa? Per comprenderlo, bisogna considerare prima quello che gli addetti ai lavori chiamano il corpo del libro, che è confezionato con rara eleganza, ma in modo che anche la materia racconti ciò che ogni pagina e ogni verso dicono.
Sulla copertina, vergato con la grafia sicura dell’autrice si avvolge l’incipit di “A Mario Luzi-In memoriam”, vate senza scettro, umile tedoforo della parola, ad indicare sotto quale segno si iscrive tutto la lezione etica del libro: elevare un canto in difesa della civiltà e dell’arte messe da parte e conculcate nel nostro mondo.
Un altro indizio per cogliere il significato dell’opera emerge dal titolo. SUL CIGLIO DELL’OMBRA suggerisce, a tutta prima, al lettore l’idea che l’opera sia nata banalmente dal desiderio di lasciare un segno prima che arrivi l’ora di attraversare l’Acheronte. Non è così: è già stato adottato in francese per la raccolta Au versant de l’ombre , che lo trae, a sua volta, dalla lirica Euridice in esso contenuta. Ma la Poetessa non è Euridice, è Orfeo, che in limine mortis non sa staccarsi dalle persone amate e, per farle rivivere, le evoca, le richiama tentando di riattraversare la “linea d’ombra”, di spezzare il diaframma che le colloca in una distanza invalicabile. Quando gli amati sono la madre, il fratello, gli amici, è un Orfeo misteriosofico, sacerdote degli affetti, che recupera nel grembo della memoria il tempo perduto. Ma, quando gli amati sono i poeti, i pittori, i danzatori, i musicisti, gli attori (Emily Dickinson, Rilke, Cristina Campo, Giorgio Caproni, Giorgio Morandi, Jacques Brel, Rudolf Nureyev, Pessoa, Marina Cvetaeva e mille altri) Orfeo torna ad essere solo il poeta per antonomasia, che ci insegna che c’è l’arte prima dell’arte e che ci può essere l’arte solo dopo l’arte.
Ma ora apriamo il libro. Introduce la silloge di testi una penetrante e persuasiva lettura critica di Adriano Marchetti, che, mentre viene ragionando sui modi e sui temi della sua poesia, definisce fondatamente l’autrice un classico moderno. “M.B. è indubbiamente una delle attuali voci considerevoli della poesia italiana.” L’analisi di Adriano Marchetti è una lettura magistrale e, per le interpretazioni a venire, sarà impossibile prescinderne. Ovviamente, chiudono il libro, in una sorta di ring-composition, le pagine appassionate dell’amico editore Massimo Pamio e il devoto ringraziamento dell’amica di sempre e curatrice dell’opera Pina Allegrini, all’archivista della bellezza e della memoria: dico ovviamente poichè sono stati tra i primi lettori delle sue raccolte, quasi sempre tenute gelosamente chiuse nei cassetti segreti e talora pubblicate “alla macchia”. È anche grazie a loro che possiamo nutrirci di questo pane di poesia.
Poi le raccolte, dal 1976 al 2005, tra le tante prodotte da Marilia Bonincontro; un viaggio nel tempo e nello spazio della pagina su una tastiera lessicale preziosa, un percorso non di sperimentazione, ma di esperienze diverse, legate da un’ intima coerenza: I. Con le foglie d’autunno; II. Microstoria; III. L’angelo obliquo; IV. Il nome del deserto; V. Deserta luce ; VI. Au versante de l’ombre ; Croce copta.
Le liriche sono precedute e intervallate, ma meglio farei a dire “contenute” dalle calde fotografie di Bruno Imbastaro che ci propongono un singolare, ma raffinato ritratto indiretto dell’autrice, ritratto non fisionomico, ma affettivo, intellettuale e culturale. Ci aggiriamo così anche noi nei penetrali della casa di cui Marilia confidenzialmente ci apre, anzi spalanca le porte. In quella che Massimo Pamio definisce la wunderkammer di Marilia, cioè la “stanza delle meraviglie”, lo sguardo è rapito dai tanti retabli, cioè dalle pale d’altare con vari scomparti in cui le foto del fratello Achille , della madre, di Virginia Wolf, di Marcel Proust, di Maria Callas, di Edoardo e di tanti altri poeti lumeggiano un panorama di oggetti, di quadri, di poster, di libri, di dischi, rari e non, ma comunque sempre preziosi. Giriamo così nelle “dorate stanze” di una donna “abitata di musica”, “abitata di poesia,”, “abitata di Bellezza” in un una parola. Non c’è snobismo nell’aprirci signorilmente questo posto dell’anima, ma la necessità di aiutarci a situare- per riusare le parole di un biglietto inviato a me nel 2006- “i frammenti del mio mondo di Ombre, questi echi di voci che accompagnano le mie albe e le mie notti.” Brodskij nel suo discorso per il Nobel affermò che l’estetica è la madre dell’etica: riconosciamo vera l’affermazione del poeta russo davanti alle immagini di una casa che racconta il culto della lettura e la passione per le arti come momento fondativo della coscienza di sé e dell’altro. È per questo che troviamo logico, essenziale persino che Emily Dickinson, Rilke, Cristina Campo, Giorgio Caproni, Giorgio Morandi, Jacques Brel, Rudolf Nureyev, Pessoa, Marina Cvetaeva e tanti altri siano presenze che si traslano con naturalezza sulla pagina accanto ai lari domestici, disperatamente amati.
Vado -con il mio liso strascico
di toppe -una per ogni addio.
Il Canzoniere,- mi si passi la definizione- si apre con la sezione dedicata esclusivamente alla madre, che canta lo strappo lacerante e mai -letterarmente- risarcito: la parola che più vi risuona è silenzio, Silenzio come segno dell’assenza di Colei che denominerà, in una lirica di molti anni dopo, Demetra, come la dea nutrice, artefice delle stagioni e della vita. Mi porta il tuo silenzio…(pag. 37)Ma la Figlia, sebbene sacerdotessa di un culto misterico, eleusino, privato, non si sentirà mai Proserpina, ovvero capace di rigenerare la vita.
Sulle mie rive
non fiorisce il loto. (pag.57)
E il loto, si sa, dà il privilegio dell’oblio, ma è anche e sopratutto il fiore della vita che nasce, della continuità dell’esistenza. Non sorprende perciò che la Suite 1965 – Sine nomine sia dedicata interamente al bambino mai concepito :
come spiegare al mondo
quanto amore t’ho dato
negandoti la vita?
Non generare, pur desiderandolo, è una autocastrazione per amore, implacabile amore (pag. 72), per risparmiare a chi verrà il dolore della Storia , e più in generale della condizione umana:
Mi mancherà il tuo sorriso-
ma t’avrò risparmiato….(pag.70)LEGGERE
Il dialogo con il Figlio “pensato” è initerrotto: riprende struggente ne I frammenti di una frase infinita del 1992 con la tenerezza e, arriverei a dire, la parzialità, lo spirito di parte di una madre che vanta la propria creatura, mettendola a paragone con i figli di altre madri, con i figli della terra ( pag.104)
T’ho dato ali bianche-
vele dell’impossibile.
Le ragioni dell’orgoglio si motivano:
…A te solo appartieni
al tuo non essere (pag.104)
Ti basta il respiro
dell’eterno…….(pag.105)
…….Non t’ho fatto
a me simile- mortale (pag. 106)
E, mentre alla madre resta solo il suo canto mortale, il figlio, luce errante, è metamorfizzato in angelo, il cui sorriso è ombra.
Angelo e Ombra sono due termini chiave nella produzione di Marilia Bonincontro e ci permettono di isolare due parole-cardine della sua visione del mondo e del suo mondo poetico.
Riguardo ad Ombra, voglio ricordare quel che ha detto Adriano Marchetti:”I componimenti …sono germinati da una vera e propria skiagraphia, una scrittura dell’ombra, dove gli eventi, in prossimità di scene silenziose, sfuggono alla narrazione, lasciandosi appena percepire in una teoria di lampi, che si colgono in uno spazio di tempo attraversabile solo dal canto.” Bisognerebbe contabilizzare i numerosi utilizzi del termine ombra e sviscerare le varie accezioni del termine per la Bonincontro. Ombra è per lei il Mistero dell’esistenza. È anche, ovviamente, la trascrizione dell’endiadi pulvis et umbra oraziano. Sono certa che nel suo lessico purissimo ed eletto la parola nasca da una lunga vitalità del termine in poesia : dalla Lezione sull’ombra di J. Donne, che Cristina Campo e Patrizia Valduga hanno tradotto, all’ Elogio dell’ombra di J.L.Borges, dal primo temuta al suo apparire perchè potrebbe offuscare l’amore, che si alimenta di una luce coraggiosa; dal secondo apprezzata perchè non è ancora la tenebra della cecità e gli consente ancora di ritrarre la sua identità, nella quiete della vecchiaia. Ma credo che la suggestione più forte sia quella che deriva dai notturni lunari di Leopardi: le ombre creano mille figure indefinite e forme che illudono l’uomo e mascherano il volto della verità; come in alcuni quadri di Friedrich, l’ombra accoglie l’osservatore/gli osservatori che, sul ciglio di un bosco o di una strada osservano una luce dello sfondo che suggerisce un mondo spirituale ed eterno. Da ultimo, mi piace pensare alla Linea d’ombra di Conrad, che equivale alla paura di non farcela, la paura di sbagliare e della sorte avversa o di un dio ostile, sempre in agguato. C’è tutto questo ed anche di più nel lessico evocativo della B.
Angelo è Emily Dickinson, obliqua luce, angelo dalle ali mozze, celesta, arpa sepolta ,”tema e nome ricorrente…inseparabile dal (mio) suo mondo interiore” ( M. B. scrive in una lettera del 7 dicembre ’06) qui cantata nella Sonata in due tempi del 1989-1990. E angelo dal viso bizantino è un’altra “trappista della perfezione”:Cristina Campo (pag.94). La distanza di Giorgio Morandi dalla pura materialità è l’iperuranica condizione di distacco delle gerarchie celesti.(pag. 95-96) Ancora dalla pittura un’altra potente suggestione: l’Angelo di Klee, che ha lo sguardo rivolto al passato, quell’Angelo cheWalter Benjamin definì un'”allegoriadella Storia“, l’“angelo della catastrofeche guarda le nostre rovine“. E si potrebbe continuare a proposito di Rilke (pag. 90), di Caproni (pag. 98), di Nurejev (pag. 100), del poeta assassinato (Pasolini?) (pag.177): tasselli di un mosaico di perfezione, terribile nel senso etimologico del termine, perchè pietrifica chi cerca a sua volta la perfezione. Quale la perfezione quella cercata da Marilia ? Quella della parola alta! La memoria corre a quel che si è detto per l’amata Emily Dickinson, che avrebbe concepito l’idea di diventare poetessa avendo come riferimento la lotta di Giacobbe con l’angelo.Giacobbe, riconoscendo la sua limitatezza, chiede alla creatura angelica di benedirlo: applicato ad Emily e a Marilia la benedizione coincide con il dono della Poesia. Adriano Marchetti ci ricorda che, nella teologia di Dante, gli angeli conoscono direttamente, senza mediazioni; agli uomini invece occorre la mediazione della parola. E qual è la forma eletta della parola? La Poesia, comunque espressa, il canto mortale.
C’era il Silenzio-
poi venne la parola.
……………….
Queste parole oblique-
che dicono amore-
che dicono dio-
angeli abortiti.
C’è, nel resto del Canzoniere, un affollarsi di presenze angeliche, letteralmente “nunzi”, che svolgono i loro compiti in un’atmosfera algida : d’altronde il sovramondo è raggelato ed enigmatico. In Deserta Luce baluginano le apparizioni dell’Angelo muto, dell’angelo del mare, dell’angelo della morte , dell’angelo senza ali, dell’Angelo del Nulla (pag. 163, 176-177). Sono epifanie in cui si misura la loro indifferenza alle umane vicende:
Infallibile – mira-
l’angelo baleniere ( Navis Argo, pag.123)
oppure
…….La notte
già scivola dai fanali
coi suoi angeli perversi …(Pioggia, pag.184)
E ancora
Gli angeli – con ali
verdi o bianche-
la loro parte recitano
tra cielo e terra-
come si conviene.(Controcorrente, pag.202)
E di nuovo
Il cielo come il mare
e gli angeli
addormentati sui pennoni
di una nave fantasma ( pag.2012)
Non vi è posto per gli angeli comunemente intesi come protettori dai pericoli: i bambini di San Giuliano di Puglia sono stati
Salvati o sepolti-
traditi….dalle fole
di angeli custodi.
( A tutti i bambini di San Giuliano di Puglia, pag.242)
Non c’è posto per loro se non in una concezione improntata al buonismo, che Marilia Bonincontro respinge, mentre afferma l’ateleologia della natura e della storia, il dolore della vita marchiata da tante sofferenze e, in più, immedicabilmente dall’ingiustizia della morte degli esseri amati: in quest’universo antiprovvidenzalistico,
C’è sempre un ladro-
cui non si perdona-
si chiama dio-
natura o cieco caso.(pag.146)
Sentiamo convergere nel “centro segreto” (Borges) del pensiero dell’autrice i cammini del rovello esistenziale e metafisico dei grandi: Leopardi in primis, poi Montale, Caproni, Luzi, Sereni tra i tanti, che si sono dibattuti tra sofferto nichilismo e disperata fame di Assoluto.
Dal nulla al Nulla (pag.186)
Lettura integrale- legge Pina Allegrini
Nel corso delle pagine della silloge, l’enunciato si fa sempre più secco
Non siamo che semi
del Nulla-
fioriti-feriti-recisi.
Oppure
Non ha ragioni
il Nulla…….
E noi -suoi figli-
Persi a dargli un senso.
I testi che chiudono la raccolta, In memoriam e Sadness, (che M. definisce “quasi un oratorio- per due voci, arpa e contrabasso”)- oltre a riepilogare e definire uno dei temi decisivi del libro, quello dei morti, riassumono anche la poetica della Bonincontro: si rivela netta la distanza dalle origini ermetiche, e dunque dalla tradizione simbolista che ne sta alle spalle. In questo dissonante/e tarato-imbarbarito/ tempo che ci è dato, l’io lirico non cerca una comunione con gli oggetti o un contatto la natura: ricostruisce tramite i nomi di Luzi, Mozart, Marina Cvetaeva, Puskin, Shelley, Keats e Leopardi, un proprio itinerario intellettuale e constata che al presente, essi scendono “nella fossa comune”. Una volta scartati, rimossi e sepolti nell’anonimato, non varrà più la pena di vivere per l’interlocutore che tesse il filo dei ricordi torto e ritorto, piagato tra le dita. L’ultimo verso, preso in prestito da Lorca, recita: “Dorme, non resta niente.” È forse una resa ? Un invito ad accettare la mediocrità e la meschinità del nostro tempo? Per far questo Marilia non ci avrebbe schiuso generosamente le porte della sua Casa per la Poesia, nè ci avrebbe fatti inoltrare nel suo continente poetico ove si tocca ad ogni verso l’inquietante mistero della perfezione.
Bruno Imbastaro fotografa Tonita Di Nisio, Pina Allegrini, Marilia Bonincontro