Archivi tag: V. Moretti

Un racconto-diario di ALFREDO FIORANI


La crudeltà dell’onda,  ovvero cronaca di un terremoto

Alfredo Fiorani

La domenica delle Palme volgeva al termine. I segni dell’imbrunire scivolavano lungo piazza Duomo, placidamente. Di solito, a quell’ora, gli aquilani riprendono la via di casa, rimboccando corso Vittorio Emanuele o scemando verso la villa Comunale. Il lunedì iniziava a ribugliare nelle teste. Le preoccupazioni, gli impegni a ribussare alla porta con impercettibile fastidio. Le cartelle dei bambini da preparare, le donne a cincischiare sugli abiti da indossare, i meno fortunati a riapprontare le valigie lavorando fuori città, la cena da organizzare, la domenica sportiva con i posticipi in ballo su Sky o RAI-Sport a chiudere la settimana di commenti calcistici e a riproporne di nuovi per la gioia dei Biscardi di turno.

Ma quella sera, vagava nell’aria una svogliatezza inconsueta. La gente per strada si attardava volentieri. Sarà stato anche il tempo buono. Appena un po’ di vento fresco dal Gran Sasso e qualche sfilaccio innocuo di nuvole, non infastidivano più di tanto. Ciò che invece preoccupava era ben altro: sotterraneo. Cinque mesi di sciame sismico sul sistema nervoso, non erano uno scherzo. L’ultima scossa da rizzare i capelli risaliva a sette giorni prima. Un 4,0° Ricther da far schizzare in strada molti in meno di un amen, non era stato ancora smaltito. Era la notte a mettere apprensione. Una nuova notte d’affrontare con quel chiodo fisso piantato in un angolo del cervello, dietro ogni pensiero ad affacciarsi senza che ci si potesse far nulla. Ce lo tenevano e basta. Pregavamo Dio che come era venuto così se ne andasse.

Oramai, era quasi buio.

Quella fine settimana, Fausta ed io, di comune accordo, decidemmo che sarebbe stato opportuno che lei ripartisse prima di cena. L’indomani l’attendeva una giornataccia. Il dirigente scolastico sarebbe mancato e lei avrebbe dovuto sostituirlo in tutte le pelose seccature che un istituto di settecento ragazzi ti ulcera lo stomaco quotidianamente. Ci fu da parte sua un passeggero ripensamento. Rientrò subito. «Ti eviti una levataccia» insistetti, facendola ragionare, «Sarai più riposata. Non ti pare?»

Così partì, poco prima delle nove.

    Mi ritirai in casa. Sbrigai un po’ di faccende. Spiccai dall’armadio l’abito per il giorno dopo. Accesi il televisore. Mi sistemai lì davanti, pensando a cosa avrei mangiato per cena, benché l’appetito fosse pochino. Il pranzo al ristorante non l’avevo ancora smaltito. Una lungaggine snervante. Avessimo mangiato almeno bene!

    Erano le nove e mezza circa, quando iniziò il balletto della terra. Mi dissi: “Ecco, ricomincia la solfa” e cercai di distrarmi sintonizzandomi sul primo canale decente che m’attizzasse un po’ d’interesse. Finii sulle indagini poliziesche della NCIS e sul viso perennemente imbronciato dell’agente Gibbs, mentre il lampadario rallentava la sua corsa sopra la mia testa.

Sfatto dalla televisione, intorno alle undici una scossa più forte della precedente non fu certo un buon viatico per la notte. Poco prima della mezzanotte, me ne andai a letto. Mi ero appena appena appisolato, quando un altro scossone mi fece sobbalzare. Non mi preoccupai. C’avevo fatto il callo. Mi rimisi a dormire. Ma, callo o non callo, riprendere sonno non fu impresa facile. Se avessi avuto un briciolo di buon senso, mi sarei alzato, vestito e piazzato in macchina sullo slargo antistante casa ad aspettare il sorgere del sole o la successiva scossa. Invece…

    Nulla fu più uguale a prima dopo quella terribile notte.

    Mi ritornano ancora alle orecchie il fragore indistinto di suppellettili scaraventate a terra e gli schianti secchi delle crepe ai muri e le vampe azzurrine che tagliavano la camera da letto, illuminandola quanto una discoteca nella più sfrenata epoca psichedelica. Niente di più che una manciata di secondi, ma sufficienti per imprimermi nella memoria una sequenza di raggelante sbigottimento. Quella luminosa traccia nell’aria a demarcare il prima e il dopo con una precisione per me sconosciuta. Non che vivessi d’incertezze, ma neppure potevo dirmene estraneo. Ebbene, mi sentii un essere estraneo in mezzo a quel popò di roba shakerata da un barman dalle ciclopiche fattezze di un King Hong.

    Una specie di elettroshock: una corrente che m’avesse attraversato il cervello, mischiando un po’ di roba e risistemata poi parte di qua e parte di là. Mi ritrovai seduto sul letto. Catapultato in avanti, come se qualcuno m’avesse strappato di forza dal materasso. La prima reazione fu di trovare un briciolo di razionalità in mezzo a quel finimondo. Ci riuscii appena la parola “terremoto” si fece largo tra le rovine della mia testa.

    Ora la stanza era completamente immersa nel buio. Non so come, riuscii a mettere i piedi a terra. Una volta uscito dalla camera da letto, mi comparve dinanzi agli occhi, illuminato dalla luce esterna dei lampioni che filtrava dalla finestra, un groviglio di roba venuta giù da ogni parte. Quasi accovacciato, attraversai a fatica il soggiorno-studio, calpestando libri, intonaco, vetri, cocci di ceramica, ripiani di legno e non so cos’altro. Dovetti passare sotto le spalle della libreria divelta dal muro e rovesciatasi contro la parete dirimpetto. Entrai in bagno. Accesi la luce e mi dissi: “Ma che cosa ci faccio qui?” Mentre allo specchio scoprii sul viso una maschera di sangue. Mi sciacquai in fretta. Tornando sui miei passi, rifeci quel sentiero di guerra fino in camera. La terra dette un’altra strattonata. Battei un fianco contro lo spigolo dello stipite della porta. Non ero più un uomo, ma un automa. Con frenesia, tolsi il pigiama, infilai i pantaloni, la camicia e la giacca. Le mani mi tremavano. Mi misi i calzini. Mi accorsi che erano di color marrone. “Sotto il blu, no!”, pensai, con sorprendente lucidità. Me li sfilai. Ne presi un paio in tinta dal cassetto dell’armadio. Afferrai l’orologio, il fazzoletto, le sigarette dal comodino. Frattanto, vidi per terra la vecchia e pesantissima macchina da scrivere Royal degli anni ‘20, tenuta sciaguratamente sopra uno scaffale contro cui era appoggiata la testiera del letto. Capii che era stata la causa del colpo sulla testa. Tornai in bagno. Mi tamponai la ferita con l’asciugamano. Dalla scarpiera, li accanto, agguantai un paio di mocassini. Li calzai a forza. Mi precipitai all’ingresso. Dall’attaccapanni spiccai un giaccone pesante e dal mobiletto raccolsi il cellulare e le chiavi di casa. Provai ad aprire la porta d’ingresso. Era incastrata. Barcollando per una nuova scossa, tolsi da sotto la soglia ciò che restava di un vaso. Con uno strattone, aprii la porta e tagliai la corda (…).

leggi tutto

Continua a leggere

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , ,
massimobotturi

L'acqua del fiume porta a spasso il cielo. Tonino Guerra

Tavolozza di vita

~☜❤☞~Pensa con il cuore e vivi l'attimo~☜❤☞~ Poetyca https://poetyca.wordpress.com/author/poetyca/

Come cerchi nell'acqua

ogni pensiero, azione, parola si propaga nello spazio....

Neobar

"Noi non siamo mai esistiti, la verità sono queste forme nella sommità dei cieli." Pasolini

Llave De Emociones

“Nuestra capacidad para amar es nuestra verdadera inteligencia".

Implied Spaces

Between Realities

FreeWords Magazine

dove il pensiero diventa parola

pagine che amo

Just another WordPress.com weblog

Poeti d'Abruzzo

Focus Po-etico sul territorio abruzzese

from the morning

le passioni infernali mai conosciute prendono fuoco nella casa vicina.

Poetella's Blog

"questo sol m'arde e questo m'innamora"- Michelangelo

Anna&H

sono approdata qui

filmcritica blog

cinema filosofia inconscio lingua polis scrittura

AnItalianGirl

Sii chi vuoi, ma se sei te stesso è meglio!

Edilio Ciclostile

buzzing head

operaidelleditoriaunitevi

Just another WordPress.com site